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Offscreen: Jack the Ripper di Jesus Franco (1976)

Jesus Franco mette in scena la storia di Jack lo squartatore, sfruttando un cast e una produzione di tutto rispetto. La storia è nota; un misterioso assassino terrorizza Londra trucidando diverse prostitute dei quartieri poveri. Franco mostra sin dall’inizio il volto dell’assassino, dedicandosi all’analisi della natura e dei tormenti dei protagonisti e rifiutando di sfruttare il mistero e il thrilling insiti in opere di questo genere. La scelta è rischiosa e onestamente non paga fino in fondo. La speculazione sulla psicologia dello squartatore, cuore del film, rimane abbozzata e non colpisce più di tanto. L’assassino è un medico di animo nobile, tormentato dalla figura della madre incestuosa, a sua volta prostituta. Una direzione un po’ scontata che non aggiunge granché allo spessore della storia. Così come non funziona fino in fondo la scelta di un unica attrice per le interpretazione della madre dello squartatore e dell’amante del poliziotto a capo delle indagini. Più interessante la sottile specularità dei due protagonisti maschili, ossessionati da un’ingombrante figura femminile e incapaci di superare il conflitto latente.

Se ai difetti già sottolineati si aggiunge una sceneggiatura che varia in modo inconcludente tra diversi generi e la quasi totale assenza di pathos il risultato non può lasciare molto soddisfatti. Inoltre va sottolineato come il soggetto non rispecchi in alcun modo la reale vicenda storica. In questo senso, per una volta, il titolo italiano (“Erotico profondo”) pare quasi più azzeccato, dal momento che la storia potrebbe aderire a mille altri personaggi portati sullo schermo.

Detto questo, il genio di Franco riesce comunque a regalare alcune grandi sequenze (l’inseguimento nel bosco, le canzoni nel bordello, la sequenza onirica e lo splatter che ricorda molto Herschell Gordon Lewis) e l’atmosfera che pervade il film è costruita in modo impeccabile, come del resto l’ambientazione, una visione sospesa tra la Londra di Dickens e la Venezia di Tinto Brass (in realtà gli esterni sono girati a Zurigo). Klaus Kinski, non al massimo splendore ma comunque immenso, riesce a donare una grande profondità allo squartatore, con sguardi e movimenti misurati e profondi. Il film pesa in larga misura sulle sue spalle e l’interpretazione è efficace e credibile. Molto convincente anche il finale tratteggiato da Franco, lineare e apatico, tuttavia emozionante e solenne.

In definitiva un film non imperdibile, ma comunque decisamente superiore alla media di molti film attualmente in sala.


E. T.